La storia di Sara e la Terapia Cognitivo Comportamentale Migliorata (CBT-E) per i Disturbi dell’Alimentazione

Sara si presenta da noi accompagnata dai genitori. Ha solo 16 anni, ma di psicologi ne ha già visti parecchi. Le chiedo di entrare, da sola, e di lasciare i genitori fuori, almeno per ora. Lei un po’ titubante, quasi chiedendo con gli occhi il permesso ai genitori che la accompagnano con lo sguardo, si dirige verso la stanza. Occhi bassi e braccia conserte, un po’ per dire che forse quello non è il posto in cui vorrebbe stare. E, in effetti, mi conferma che lì ci è arrivata, ma più per necessità dei suoi che per una sua vera richiesta. Mi dispiaccio, perché essere dove non vorresti essere davanti ad un estraneo pronto a farti domande non è il massimo… però a questo punto che fare? Lei ormai è lì e io mi sono presa del tempo per lei… Le chiedo se le va, date le circostanze, di raccontarmi qualcosa, giusto per sfruttare questo tempo insieme. Sara ha già raccontato la sua storia, ma accetta di farlo di nuovo con me e per me. Inizia a 13 anni a voler perdere peso, il peso scende un po’ per volta. Prima psicoterapia. Il peso scende ancora. Seconda terapia affiancata da nutrizionista. Niente da fare. Un breve ricovero e poi di nuovo a combattere con il numero della bilancia e con le cosce che vede troppo grosse. Io ascolto, cerco di capire, faccio delle domande e alla fine provo a spiegarle il mio punto di vista e perché questa volta potrebbe essere diversa dalle altre. La pongo di fronte alla domanda che tutti noi clinici ci poniamo di fronte ad un disturbo dell’alimentazione: perché, nonostante i danni subiti (in termini di salute, di relazioni, di serenità e benessere) una persona continua a voler perdere peso o usare altri comportamenti estremi di controllo sul peso (come l’esercizio fisico). Lei sul momento mi guarda un po’ perplessa, sembra non capire, non tanto la domanda, ma dove voglio andare a parare. Proseguo. Non ci sono risposte semplici, anzi le dico che nemmeno noi che ci occupiamo di questi problemi, ci troviamo d’accordo nel dare una risposta.

Si stupisce un po’ quando le spiego che, proprio la risposta a questa domanda fa sì che si guardi al disturbo dell’alimentazione in modi diversi. C’è chi lo vede come una malattia…” è la tua malattia che ti fa fare questo o quest’altro, non l’ascoltare”… te lo sei mai sentito dire? Sara annuisce. Ecco questo significa che ti devi affidare a qualcuno (un terapeuta) che ti dice esattamente cosa devi fare, altrimenti “la malattia” prende il sopravvento. Ma c’è chi lo vede come un problema psicologico e cerca di capire che significati hanno alcuni comportamenti per la persona. In soldoni: perché ho smesso di mangiare certi alimenti? Perché mi fanno paura? Perché continuo a guardarmi allo specchio e sui social guardo tutti quei video di ragazze magre? Sara un po’ mi guarda attenta …qualcosa l’ha colpita. Il modello psicologico vuole aiutare la persona a capire prima di tutto le proprie difficoltà e a trovare buone strategie per affrontarle. La terapia che usa questo modello si chiama terapia cognitivo comportamentale migliorata (CBT-E). Ma richiede un grande impegno. Sara mi scruta e mi chiede in cosa consiste questo impegno (già la scuola è impegnativa!). Impegno nell’osservare i propri comportamenti, nell’ascoltare le proprie emozioni, nel riflettere in seduta e a casa. Un po’ generico, lo capisco, ma voglio aspettare prima di addentrarmi in una spiegazione più dettagliata. Sara ha bisogno di ragionarci. Alla fine, po’ sfidante, mi dice “ma io ho già fatto terapie psicologiche…non sono servite granché…”.

Qui mi fermo nel racconto per rispondere a tutte le domande che tutte le Sara e i genitori che vedo, mi fanno quando spiego la CBT-E.

Ho già fatto psicoterapia, perché ne dovrei fare un’altra se non ha funzionato? La CBT-E è una terapia specialistica per affrontare il disturbo dell’alimentazione. A livello internazionale è una psicoterapia raccomandata per i disturbi dell’alimentazione sia negli adulti che negli adolescenti.

Che cosa vuol dire raccomandata? Vuol dire che sono stati fatti degli studi che hanno dimostrato la sua efficacia. Questi studi fanno vedere che è più efficace delle altre terapie con cui è stata confrontata e questo significa che più pazienti possono guarire. Una volta dimostrato questo, gli organi internazionali raccomandano di utilizzare questa terapia.

Ho già fatto una terapia cognitivo comportamentale, perché ne dovrei fare un’altra se non ha funzionato? La CBT-E è una forma specifica di terapia cognitivo comportamentale e servono professionisti specificatamente formati e aggiornati. È un po’ come se avessi un problema al ginocchio e cercassi un ortopedico generico, invece che andare da uno specialista del ginocchio. Ecco, i terapeuti CBT-E sono come gli specialisti del ginocchio.

Da cosa posso capire se ho fatto già questa terapia? La CBT-E ha delle caratteristiche molto specifiche. Ti faccio alcuni esempi:

  1. È una terapia collaborativa e orientata al cambiamento. Tutto ciò che si fa è prima stato concordato tra terapeuta e paziente. Solo se il paziente accetta di affrontare il cambiamento, la terapia prosegue.
  2. La CBT-E organizza la terapia in tre Passi (Passo Uno, Passo Due e Passo Tre) e una o più sedute di revisione. Il Passo Uno della CBT-E è un passo di osservazione, nel quale le visite si fanno due volte a settimana con uno psicoterapeuta CBT-E, e l’obiettivo non è cambiare, ma imparare ad osservarsi in tempo reale attraverso specifiche schede di monitoraggio, capire il funzionamento del problema grazie all’uso della formulazione, e affrontare il tema del cambiamento. Solo se la persona decide di voler cambiare entra in un Passo Due e se è sottopeso vedrà anche una nutrizionista. Il Passo Due è il vero passo di cambiamento e il Passo Tre servirà ad affrontare eventuali passi indietro e a ridurre al minimo il rischio della ricaduta.
  3. Nella CBT-E, lo psicoterapeuta, il nutrizionista e il medico parlano lo stesso linguaggio, usano la stessa terminologia e nel tempo anche il paziente diventa esperto dei termini specifici della CBT-E.
  4. Nella CBT-E i genitori o i familiari sono degli aiutanti, cioè vengono guidati dai terapeuti per supportare la terapia e non creare ostacoli. Non devono essere responsabili, come dei controllori, dell’alimentazione o di altri comportamenti legati al disturbo dell’alimentazione del loro familiare. Di questi aspetti si discute in terapia con il paziente.

Ecco, come ti dicevo, questi sono alcuni elementi centrali della CBT-E. Se non ti ritrovi in questo vuol dire che non hai fatto una CBT-E.

Cosa mi darà la CBT-E? Facendo una CBT-E hai buone probabilità di uscire dal disturbo dell’alimentazione. Ma oltre a questo ti permetterà di conoscere e capire come funziona il tuo problema e avere una visione più ampia dei meccanismi psicologici.

E i farmaci? I farmaci vengono utilizzati soltanto se strettamente necessari e sempre facendo insieme una accurata valutazione del ruolo che possono avere nel favorire il cambiamento e l’uscita dal problema.

Sarà necessario un ricovero?

Il ricovero serve in un piccolo sottogruppo di pazienti. Prima di fare un ricovero si tenta sempre una terapia ambulatoriale, per permettere alla persona di affrontare le proprie difficoltà nel proprio contesto di vita. In ogni caso, se ci sarà la necessità di un ricovero potrai trovare una struttura in cui si applica la CBT-E.

Sara sta affrontando il suo percorso di CBT-E con impegno e con la consapevolezza che sarà dura ma ne varrà la pena!