Anoressia nervosa grave e di lunga durata? Gravità e durata di malattia non sono collegate agli esiti della terapia cognitivo comportamentale.

La definizione di “anoressia grave e di lunga durata” non è supportata dai dati e manca di validità predittiva in termini di risposta al trattamento, per cui i clinici dovrebbero somministrare trattamenti supportati dall’evidenza, come la CBT-E, indipendentemente dalla durata o dalla gravità del disturbo.

La definizione di anoressia nervosa grave e di lunga durata (SE-AN) è usata in ambito clinico e di ricerca per descrivere un sottogruppo di pazienti sebbene non ci sia consenso in letteratura riguardo a tale definizione. Diversi autori, infatti, considerano la lunga durata con periodi di tempo diversi (3, 7 o 10 anni dall’esordio) e non è chiaro se la gravità del disturbo sia da attribuirsi all’entità del sottopeso (così come previsto dalla classificazione del DSM 5), all’intensità della psicopatologia, alla compromissione della qualità di vita o alla mancata risposta a precedenti trattamenti.

Inoltre, alcuni recenti studi hanno evidenziato la mancanza di validità clinica di tale definizione: pazienti con AN con o senza lunga durata del disturbo, raggiungono gli stessi risultati con un trattamento ospedaliero basato sulla terapia cognitivo comportamentale migliorata per i disturbi dell’alimentazione (CBT-E) (Calugi et al., 2017) e pazienti classificati con diverso livello di gravità in base all’Indice di Massa Corporea (IMC) secondo la specificazione del DSM 5, sono indistinguibili sulla base dell’età, della compromissione clinica o della psicopatologia al pretrattamento (Reas & RØ, 2017).

Nonostante questo, stanno emergendo linee guida che prevedono di de-enfatizzare l’obiettivo terapeutico di recupero del peso (al contrario di quanto raccomandato dalle terapie basate sull’evidenza come la CBT-E e il trattamento basato sulla famiglia, FBT) e a prediligere la riduzione del danno sulla qualità di vita.

Ritenendo questa scelta prematura sulla base delle scarse evidenze ad oggi disponibili, Raykos e colleghi hanno recentemente pubblicato uno studio con l’obiettivo di valutare se la gravità o la durata dell’AN possano influenzare il tasso di drop-out e gli esiti della CBT-E ambulatoriale.

Hanno partecipato allo studio australiano pazienti con diagnosi di AN (confermata dall’Eating Disorder Examination, EDE) che si sono rivolti ad un servizio pubblico ambulatoriale dedicato ai disturbi dell’alimentazione che offriva loro la CBT-E.

I pazienti sono stati pesati alla valutazione iniziale e ad ogni seduta di trattamento. La gravità della psicopatologia specifica del disturbo dell’alimentazione è stata misurata utilizzando il punteggio globale dell’EDE al basale e il punteggio globale del relativo questionario self-report (EDE-Q) al pretrattamento, al post-trattamento e ad intervalli di 5 settimane durante il trattamento. I primi 87 pazienti dello studio hanno anche completato il Quality of Life and Enjoyment Satisfaction Questionnaire – Short Form (QLESQ) per la valutazione della qualità di vita. Il completamento del trattamento è stato definito come un passaggio attraverso tutte le fasi della CBT-E e una chiusura concordata fra terapeuta e paziente dopo la fase finale. La durata di malattia è stata valutata utilizzando un questionario self-report che richiedeva informazioni dettagliate relative all’età di esordio dei principali comportamenti e attitudini relativi al disturbo dell’alimentazione e all’andamento dettagliato del peso, al fine di determinare la durata (in mesi) per cui l’individuo presentava in maniera ininterrotta i sintomi dell’AN.

Lo scopo dello studio è stato valutare l’eventuale influenza di 3 variabili considerate potenziali predittori (durata di malattia, punteggio EDE al pretrattamento e IMC al pretrattamento) sulle seguenti variabili di esito: (i) il completamento del trattamento, (ii) i cambiamenti nella psicopatologia specifica (EDE-Q), (iii) il cambiamento nella qualità di vita (QLSEQ), (iv) il cambiamento nell’IMC nelle prime 5 sedute di trattamento (come un indicatore di risposta rapida), e (v) il cambiamento dell’IMC nel corso di 40 sedute (durata standard della CBT-E per pazienti sottopeso).

Il campione era costituito da 134 partecipanti, donne per il 97%, con un’età mediana di 22 anni, una durata mediana di malattia di 5 anni, un IMC medio di 16.8 (DS=1.5) e un punteggio globale medio dell’EDE di 3.7 (DS=1.3).

I risultati indicano che hanno completato il trattamento 69 partecipanti (51.5%) con una media di 38.4 (DS=21.4) sedute rispetto alle 12.2 (DS=10.2) sedute di coloro che non hanno completato il trattamento. Entrambi i gruppi (completers vs non-completers) sono migliorati in termini di peso e psicopatologia e non ci sono state differenze significative fra i due gruppi al pretrattamento. Si è inoltre riscontrata una scarsa  associazione, con forma ad U, tra durata di malattia e completamento del trattamento, ad indicare che, per esempio, un paziente con una durata di malattia di 2 anni aveva la stessa probabilità di completare il trattamento (64%) di un paziente con 18 anni di durata del disturbo, mentre un paziente con una durata fra 8 e 10 anni aveva una probabilità inferiore al 30%. La durata di malattia non sembra inoltre predire i cambiamenti nei sintomi del disturbo dell’alimentazione, nella qualità di vita o nel peso.

Per quanto riguarda la psicopatologia al pretrattamento, i dati non mostrano alcuna associazione con le variabili dipendenti considerate.

Infine, relativamente al cambiamento dell’IMC nel corso del trattamento, si è riscontrata un’unica associazione con i punteggi di IMC al pretrattamento, verosimilmente perché i pazienti con più basso IMC basale hanno ottenuto un maggior cambiamento nel peso nel corso della terapia, rispetto ai partecipanti che partivano da un IMC più alto.

Per un confronto diretto con i risultati dei precedenti studi sopra citati (Calugi et al., 2017 e Reas & RØ, 2017) la variabile durata di malattia è stata dicotomizzata in 2 categorie considerando il cut-off di 7 anni. Il gruppo di pazienti con una durata di malattia >7 anni non ha avuto esiti diversi rispetto al gruppo di pazienti con più breve durata del disturbo in ogni variabile considerata. Similarmente, sono stati divisi i pazienti in base ai livelli di IMC corrispondenti alle fasce di gravità del DSM 5 e l’unica differenza significativa riscontrata ha riguardato il gruppo di pazienti considerato di gravità grave ed estrema (IMC<16) che ha ottenuto il maggior miglioramento nel peso nel corso della terapia rispetto ai soggetti con IMC di gravità moderata e lieve.

In definitiva, le uniche due associazioni che lo studio ha riscontrato sono entrambe in disaccordo con l’assunzione che una maggiore durata o gravità di malattia siano predittori negativi di esito e ciò, con il supporto degli studi precedenti, suggerisce, in maniera solida, che la durata o la gravità di malattia dell’AN non predicono esiti peggiori nella CBT-E e che la nosologia che classifica l’AN come grave e di lunga durata è, ad oggi, da considerarsi di validità e utilità clinica opinabili e discutibili.

Se al momento non siamo in grado di definire ciò che costituisce una variante “grave e di lunga durata” dell’AN, ne consegue che l’uso di tale termine ha il potenziale per tradursi in uno stigma per i pazienti o in una giustificazione dei clinici per evitare di applicare un trattamento efficace, come dimostrato dalla constatazione che le persone con AN duratura hanno più probabilità di essere indirizzate verso trattamenti non supportati dall’evidenza (Wonderlich et al., 2012). I risultati del presente studio, invece (nonostante mettano in luce un tasso di drop-out insolitamente alto per la CBT-E) suggeriscono che le raccomandazioni di trattamento per l’AN dovrebbero essere identiche per ogni paziente, perché indipendentemente dalla durata della malattia o dalla gravità della psicopatologia, è possibile per loro ingaggiarsi nella terapia e trarre beneficio della CBT-E.

Gli autori invitano i clinici a trasmettere quest’informazione ai pazienti all’inizio del trattamento per infondere in loro speranza e, a livello di ricerca, propongono di spostare il focus dall’individuazione di trattamenti alternativi per la SE-AN verso il miglioramento di trattamenti efficaci per tutte le persone con AN.

Ulteriori studi potranno chiarire se esistano definizioni alternative di gravità e durata del disturbo che possano risultare utili da un punto di vista prognostico oppure potranno far luce sugli effetti di queste variabili a più lungo termine o in pazienti più giovani o sottoposti a trattamenti diversi.

Fino ad allora, i risultati attuali indicano che il costrutto di SE-AN manca di validità predittiva in termini di risposta alla CBT-E per cui i clinici dovrebbero somministrare trattamenti supportati dall’evidenza, come la CBT-E, indipendentemente dalla durata o dalla gravità del disturbo.

 

Fonte: Raykos, B. C., Erceg-Hurn, D. M., McEvoy, P. M., Fursland, A., & Waller, G. (2018). Severe and enduring anorexia nervosa? Illness severity and duration are unrelated to outcomes from cognitive behaviour therapy. Journal of consulting and clinical psychology, 86(8), 702.