A cura di: Simona Calugi
Da quando il COVID-19 è entrato nella nostra quotidianità sempre più spesso abbiamo sentito parlare dell’aumento di casi di sofferenza psicologica, soprattutto nei giovani. Una delle patologie che è salita tristemente alla cronaca è quella dei disturbi dell’alimentazione, perché molte strutture hanno denunciato un incremento significativo di richieste di intervento per questo problema.
In Italia purtroppo non esiste un osservatorio epidemiologico che ci permetta di verificare in maniera affidabile un aumento dell’incidenza di casi di disturbi dell’alimentazione, ma se guardiamo il mondo occidentale, dalle indagini condotte negli Stati Uniti emerge un incremento di oltre il 15% di casi nel 2020 rispetto all’anno precedente.
In ogni caso, a livello globale, la pandemia da COVID-19 e tutto ciò che ne è derivato (aumento dell’isolamento sociale, interruzione della vita e restrizioni ai movimenti e alle attività quotidiane, per non parlare dei rapporti compromessi con la famiglia e gli amici e una maggiore esposizione ai messaggi sui social media legati al peso) sembrano aver avuto un impatto rilevante sia sul peggioramento del disturbo alimentare che della psicopatologia generale osservati nelle persone con disturbi dell’alimentazione.
Anche i trattamenti per il disturbo dell’alimentazione hanno inevitabilmente subìto dei cambiamenti e i clinici hanno dovuto adattare i loro interventi sulla base delle necessità contingenti.
Ma questi adattamenti sono stati efficaci? Rispetto a quanto succedeva prima della pandemia, i pazienti con disturbo dell’alimentazione sono riusciti a beneficiare dei trattamenti?
Una ricerca condotta presso la Casa di Cura di Villa Garda ha cercato di rispondere a queste domande, con una metodologia scientifica molto rigorosa. Lo studio ha confrontato un gruppo di 57 pazienti con anoressia nervosa che hanno effettuato una terapia cognitivo comportamentale migliorata per il disturbo dell’alimentazione (CBT-E) in un setting intensivo durante il periodo del COVID-19, con un gruppo di altri 57 pazienti con anoressia nervosa (selezionati perché simili al primo gruppo in termini di indice di massa corporea, età e stesso genere) che hanno fatto lo stesso percorso in epoca pre-covid.
I risultati hanno indicato che più del 75% dei pazienti durante la pandemia contro l’85% dei pre-pandemia ha completato il trattamento, una differenza non significativa. Inoltre, i due gruppi hanno raggiunto, con una percentuale simile, un indice di massa corporea maggiore o uguale a 18,5 e una psicopatologia specifica minima, sia a fine trattamento che dopo 20 settimane dalla fine del trattamento. Infine, l’indice di massa corporea, la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione, la psicopatologia generale e i punteggi sul danno psicosociale causato dal disturbo dell’alimentazione, sono migliorati significativamente dal basale a fine trattamento e poi a 20 settimane dalla fine del trattamento, in entrambi i gruppi. Tuttavia, il miglioramento è stato più marcato nei pazienti pre-pandemia rispetto a quelli trattati durante la pandemia di COVID-19. Gli autori hanno provato a spiegare le ragioni di questo minor miglioramento nei pazienti esposti alla pandemia. In particolare, hanno ipotizzato che le modifiche imposte dalla restrizione pandemica su alcune procedure terapeutiche chiave possano aver interferito con l’esito del trattamento, in particolare: (i) l’unità di riabilitazione “aperta” è diventata “chiusa” e i pazienti non potevano lasciare il reparto o vedere altre persone, aumentando lo stress e l’isolamento; (ii) la CBT-E include alcune procedure, come quelle che mirano ad aumentare la flessibilità alimentare (alimentazione sociale) e a migliorare l’immagine corporea (esposizioni del corpo) che non sono state attuate durante la pandemia; (iii) la somministrazione a distanza di tutte le procedure CBT-E durante il day hospital potrebbe aver interferito negativamente con il miglioramento clinico. Infine, hanno anche sottolineato che il miglioramento inferiore possa essere, più genericamente, la conseguenza del disagio psicologico associato alla pandemia di COVID-19.
Nel loro complesso, questi risultati sono incoraggianti e indicano che la CBT-E intensiva, progettata per affrontare la psicopatologia del disturbo dell’alimentazione in pazienti con anoressia nervosa, ottiene buoni risultati anche nelle condizioni avverse della pandemia di COVID-19.
Bibliografia di riferimento:
- Dalle Grave, R., Dalle Grave, A., Bani, E., Oliosi, A., Conti, M., Dametti, L., & Calugi, S. (2022). The impact of the COVID-19 pandemic on intensive cognitive behavioral therapy outcomes in patients with anorexia nervosa—A cohort study. International Journal of Eating Disorders, 1–9. https://doi.org/10.1002/eat.23765
- Taquet, M., Geddes, J. R., Luciano, S., & Harrison, P. J. (2021). Incidence and outcomes of eating disorders during the COVID-19 pandemic. The British Journal of Psychiatry, 1-3, 262–264. https://doi.org/10.1192/bjp.2021.105
- Devoe, D. J., Han, A., Anderson, A., Katzman, D. K., Patten, S. B.,Soumbasis, A., Flanagan, F., Paslakis, G., Vyver, E., Marcoux, G., & Dimitropoulos, G. (2022). The impact of the COVID-19 pandemic on eating disorders: A systematic review. International Journal of Eating Disorders. https://doi.org/10.1002/eat.23704