COVID-19 e disturbi dell’alimentazione

A cura di: Selvaggia Sermattei

La nuova sfida per migliorare le terapie dei disturbi dell’alimentazione al tempo del COVID-19

La pandemia di COVID-19 sta avendo un forte impatto sulla salute pubblica anche dal punto di vista psicologico ma ad oggi rimane sconosciuto l’effetto sui pazienti con disturbi dell’alimentazione (DA). Questi pazienti possono rappresentare una categoria particolarmente sensibile a subirne gli effetti negativi a causa del maggior rischio fisico (si pensi alle complicanze mediche legate al basso peso nell’anoressia nervosa, agli squilibri elettrolitici nella bulimia nervosa e al rischio cardiovascolare nel disturbo da binge-eating), e ad un alto livello di stress psicologico dovuto all’isolamento e all’interruzione dei trattamenti abituali.
Alcuni fattori legati all’isolamento imposto potrebbero rappresentare dei fattori precipitanti per lo sviluppo di un DA o aggravare dei sintomi comunemente presenti in chi soffre di tali problematiche. Ad esempio, la riduzione dell’attività fisica potrebbe portare a preoccupazione per il peso e la forma del corpo, un maggior utilizzo dei social media potrebbe aumentare l’influenza negativa dell’ideale di magrezza, emozioni negative legate all’isolamento prolungato o a tensioni familiari potrebbero essere gestite con episodi di abbuffata e conseguenti comportamenti di compenso, oppure la sensazione di incertezza potrebbe portare all’aumento della necessità di controllo dell’alimentazione.
Si può quindi prevedere, nell’ambito dei DA, un aumento della gravità della sintomatologia con conseguente maggiore richiesta di cura, sebbene potrebbe risultare più difficile offrire e implementare trattamenti secondo linee guida basate sull’evidenza. Una valida alternativa alle classiche terapie faccia a faccia è rappresentata dai trattamenti erogati on line, ad esempio tramite la tecnologia delle videochiamate. Questi trattamenti, studiati da oltre 20 anni, mostrano alcuni limiti e necessitano di ulteriore ricerca ma in questa situazione rappresentano la possibilità di non interrompere trattamenti in atto e di poter fornire aiuto a nuovi pazienti.
Recenti articoli hanno descritto alcune delle sfide e delle eventuali soluzioni per la gestione dell’AN nella comunità nel contesto di questa pandemia di COVID-19, tratte da una chat di gruppo composta da pazienti con diagnosi di AN (n=8) e dai loro familiari nel Regno Unito. La discussione in chat è stata incentrata su come affrontare l’ambiente in rapido cambiamento, con l’isolamento che è stato riconosciuto da pazienti e familiari come negativamente associato al loro benessere psicologico.
I temi affrontati sono stati quattro: la socialità durante l’isolamento, la possibilità di aiutare se stessi aiutando gli altri, le sfide imposte dalla riduzione del supporto professionale e il bilanciamento fra i bisogni dei pazienti e quelli della famiglia.
Per quanto riguarda il riuscire a rimanere in contatto sociale durante l’isolamento, i pazienti si sono mostrati ambivalenti nell’uso dei social media e delle videochiamate, a causa dell’accresciuta consapevolezza del proprio corpo nel vedersi in videochiamata che è stata riconosciuta come un potenziale trigger di autocritica, a sua volta percepita come dannosa per la guarigione. Mentre alcuni pazienti hanno ritenuto più sicuro non usare forme di comunicazione potenzialmente scatenanti tali preoccupazioni, altri pazienti e i loro familiari hanno affrontato questo problema modificando ciò che era visibile nei loro account social e hanno trovato utile rimanere in contatto solo con profili ritenuti positivi e di supporto.
Per gestire i sentimenti di solitudine, i pazienti hanno riferito di aver trovato conforto nel rendersi utili ad aiutare persone bisognose (ad esempio ascoltando conoscenti particolarmente in ansia, o aderendo a progetti di assistenza per gli anziani del quartiere). Alcuni hanno però messo in evidenza, che dare la priorità ai bisogni degli altri influenzasse negativamente la loro capacità di gestire la propria salute ed hanno quindi proposto diverse strategie per la cura di sé (ad esempio, distrazioni rilassanti, come leggere / vedere la TV / dedicarsi ad hobby come la fotografia). I familiari hanno sottolineato l’importanza di rimanere in contatto con la famiglia, gli amici, i vicini e i gruppi di sostegno.
Le paure riguardo all’improvvisa riduzione del contatto con i terapeuti sono state fortemente espresse dal gruppo. La mancanza di tempo per i professionisti per preparare i pazienti e le loro famiglie a un cambiamento nel trattamento è stata collegata ad un aumento dell’ansia e della sensazione di perdita di controllo già avvertito con la rapida diffusione del COVID-19. Sebbene alcuni pazienti abbiano avuto accesso alla terapia online, il gruppo è stato concorde nel ritenere che la mancanza di visite faccia a faccia ha richiesto una maggiore autogestione, in particolare per il controllo del peso. Sia i pazienti che i familiari hanno temuto un’influenza negativa sul percorso terapeutico, con la consapevolezza condivisa che il periodo di incertezza e instabilità ha comportato il rischio di un aggravamento dei pensieri e dei comportamenti del DA, come l’esercizio fisico ossessivo e il cucinare.
Un bisogno di routine e struttura della quotidianità è stato evidenziato come cruciale per i pazienti per affrontare il cambiamento e gestire la noia. I familiari hanno riconosciuto l’importanza del loro ruolo nella gestione della quotidianità ed hanno condiviso idee creative come la creazione di piani alimentari a casa e lo svolgimento di attività terapeutiche (ad esempio, con l’organizzazione di esposizioni alimentari a casa). La convivenza forzata ha inoltre comportato un aumentato carico di lavoro per i familiari ma ha anche fornito loro l’opportunità di poter avere più tempo e risorse da dedicare al supporto dei loro cari.
Alcuni importanti suggerimenti sono quelli da fornire al personale sanitario. Infatti, medici ed infermieri, sono ritenuti una popolazione a rischio per gli effetti negativi psicologici della pandemia e della quarantena, e alcuni recenti studi hanno evidenziato alcuni fattori protettivi in grado di ridurre lo stress. Questi fattori si ritiene che possano risultare utili anche per i professionisti della salute che lavorano nell’ambito dei DA e sono i seguenti: (i) comunicazione con i colleghi dei propri / altri centri, (ii) supervisioni di gruppo, (iii) riconoscenza da parte di pazienti / superiori / società e (iv) consapevolezza di fare qualcosa di significativo. Infine, in questa situazione critica, in cui sono coinvolti paure e incertezze, è anche importante che gli operatori sanitari riescano a staccare dal lavoro, prendendosi cura di loro stessi attraverso la strutturazione della loro giornata, lo sviluppo di uno stile di vita sano e in connessione con gli altri e l’accesso ad un aiuto professionale se necessario.
In definitiva, la pandemia in atto di COVID-19, per quanto complichi la già delicata situazione di pazienti, familiari ed operatori nell’ambito dei DA, può rappresentare una sfida che può fornire l’opportunità di produrre cambiamenti positivi nelle comuni strategie terapeutiche e nei modelli di cura, per migliorare le terapie e renderle più efficienti ed efficaci, maggiormente flessibili e personalizzate.

Fonti: Dalle Grave, R. (2020). Distance CBT-E for Eating Disorders in Light of COVID-19: Suitability, challenges, and potential advantages Psychology Today Posted Apr 14th, 2020 https://www.psychologytoday.com/intl/blog/eating-disorders-the-facts/202004/distance-cbt-e-eating-disorders-in-light-covid-19
Fernández-Aranda, F., Casas, M., Claes, L., Bryan, D. C., Favaro, A., Granero, R., … & Menchón, J. M. (2020). COVID-19 and implications for eating disorders. European Eating Disorders Review: The Journal of The Eating Disorders Association, 28(3), 239.