A cura di: Giulia Di Fede
L’obesità pediatrica, ossia l’obesità che si sviluppa nella prima infanzia, è una condizione associata ad una serie di esiti negativi sulla salute, sia immediati che a lungo termine e ad un peggioramento della qualità della vita.
In questo scritto riassumiamo una recente review uscita su Nature, Lister e colleghi forniscono una panoramica dell’epidemiologia, delle cause, della fisiopatologia e delle conseguenze dell’obesità infantile e adolescenziale. Discutono, inoltre, le considerazioni diagnostiche e gli approcci alla prevenzione e alla gestione. Infine, riassumono gli effetti dell’obesità pediatrica sulla qualità della vita e lasciano alcune domande di ricerca aperte.
La prevalenza dell’obesità infantile e adolescenziale continua a rimanere elevata nella maggior parte dei paesi ad alto reddito ed è in aumento in molti paesi a basso e medio reddito, in particolare in Polinesia, Medio Oriente, Nord Africa, Caraibi e Stati Uniti. L’obesità è una condizione che si verifica quando un mix di fattori genetici ed epigenetici, modelli comportamentali di rischio e influenze ambientali e socioculturali influenzano i due sistemi di regolazione del peso corporeo: da una parte il controllo cognitivo, regolato da centri cerebrali superiori, dall’altra l’omeostasi energetica, compresa la leptina e i segnali del tratto gastrointestinale, che opera prevalentemente a livello non consapevole. Quando l’interazione tra questi circuiti regolatori viene alterata, uno squilibrio tra apporto e dispendio energetico può portare allo sviluppo dell’obesità.
Tra i fattori di rischio associati all’obesità infantile si annoverano quelli ambientali, di stile di vita, comportamentali e sociali, oltre ai molteplici fattori prenatali, tra cui un elevato BMI materno pregravidico, un aumento di peso gestazionale e postnatale, così come il fumo e le varianti genetiche che hanno dimostrato avere un ruolo nello sviluppo dell’obesità nei bambini. Il ruolo dei processi epigenetici nello sviluppo dell’obesità infantile è in crescente evoluzione e gli studi suggeriscono che i meccanismi biologici alla base dell’obesità infantile, benchè diversi nelle varie fasi d’età, sono per lo più simili a quelli dell’età adulta.
E’ stato, inoltre, dimostrato essere associata ad un’ampia gamma di comorbilità a breve e lungo termine. Si parla infatti di patologie e disordini metabolici, endocrini, cardiovascolari, respiratori e psicologici, nonché malattie del fegato, disfunzioni metaboliche e stati infiammatori.
Per la diagnosi, date le limitazioni dell’indice di massa corporea come strumento diagnostico, a seguito di un esame fisico, si integrano indagini cliniche e test di screening specifici. Difatti, è importante distinguere le diverse forme di obesità. Possiamo parlare di forme di obesità secondaria, date da disfunzioni ipotalamiche (che possono portare a iperfagia marcata), disfunzioni endocrine, obesità associata all’assunzione di farmaci (come ansiolitici e antidepressivi) che vanno ad interagire con i circuiti coinvolti nel controllo dell’appetito e che possono causare un disequilibrio nel controllo dei meccanismi di sazietà; obesità causata da malattie neurologiche ed infine forme mono e poligeniche dovute a mutazioni a livello di geni che codificano per specifici ormoni, come la leptina ad esempio, un ormone prodotto dal tessuto adiposo, implicato nel sistema ipotalamico di regolazione dell’appetito.
In termini di gestione della prevenzione dell’obesità pediatrica, la ricerca dovrebbe concentrarsi su interventi efficaci, con approcci privi di stigma ed in grado di ridurre i divari nelle disuguaglianze sanitarie. Ciò potrebbe essere reso possibile attraverso interventi di prevenzione a vari livelli che operino “a valle” a livello del bambino e della famiglia, così come interventi “a monte” a livello della comunità e della società in generale.
Le linee guida cliniche per il trattamento dell’obesità infantile e adolescenziale consigliano un intervento di prima linea che incorpori un approccio multicomponente basato sulla famiglia, che affronti la dieta, l’attività fisica, la sedentarietà e i comportamenti legati al sonno, in modo da incoraggiare tutta la famiglia ad adottare comportamenti più sani che si traducano in un miglioramento della dieta, in una maggiore attività fisica e in una minore sedentarietà. Ciò include modifiche all’ambiente alimentare familiare e richiede il monitoraggio dei genitori e degli insegnanti in ambito scolastico. Questo avrebbe un impatto positivo anche sul benessere psicologico dei bambini, che subiscono lo stigma del peso attraverso discriminazione ed esclusione sociale. Negli adolescenti con grave obesità in particolare, possono essere preziose anche terapie dietetiche più intensive (es. le Very low energy diet), interventi di chirurgia bariatrica (studi prospettici a lungo termine hanno mostrato effetti benefici sia della gastrectomia a manica che del bypass gastrico sulla perdita di peso) ed infine farmacoterapia. E’ stata sviluppata difatti una nuova generazione di farmaci (liraglutide, semaglutide e tirzepatide) per il trattamento del diabete mellito tipo II e dell’obesità, a base di peptidi gastrointestinali, agonisti del recettore GLP1 (ormone che inibisce l’appetito e rallenta la motilità gastrica), approvati sia in Europa che negli Stati Uniti.
Gli autori concludono lo studio sottolineando che molte lacune rimangono da colmare e sottolineando che la gestione dell’obesità infantile è complessa e richiede un approccio multisettoriale, che attraverso l’implementazione di nuove risorse possa affrontare le disuguaglianze e che preveda interventi che operino a livello individuale, interpersonale, comunitario e sociale.
Tratto da: Natalie B. Lister, Carolyn Summerbell, Martin Wabitsch, Louise A. Baur, Janine F. Felix, Andrew J. Hill, Claude Marco, Thomas Reinehr (2023) Child and adolescent obesity. Nature Reviews Primer sulle malattie, 9, 24 (2023). https://doi.org/10.1038/s41572-023-00435-4